Il babywearing in pillole scientifiche

Diversi studi hanno ormai appurato che i cuccioli d'uomo fanno parte della categoria dei portati attivi (Kirkilionis), cioè hanno insiti in loro una serie di comportamenti innati che darebbero prova di come il loro corpo sia perfettamente adattabile al corpo della madre. Questi "istinti" sono i riflessi naturali che ogni neonato ha inscritto nel proprio dna (riflesso di Moro, riflesso di Babinski e riflesso palmare) e che consentivano ai bimbi di aggrapparsi alla pelliccia della madre per starle sempre addosso e sfuggire ai predatori, assicurandosi la salvezza.

E' chiaro dunque come il portare divenga l’esperienza chiave per garantire al bambino un “continuum” da tre diversi punti di vista: filogenetico, neurofisiologico e psicologico.

Dal punto di vista filogenetico questo è evidente anche se ci soffermiamo ad osservare le gambe dei neonati. Sono sempre flesse in posizione divaricata-seduta mantenendo la forma ad “O” delle gambe e la divaricazione flessa che servono per aderire al corpo della madre per essere portati. Questi elementi esprimono la memoria filogenetica del portato attivo che storicamente è stato portato sul fianco della madre.

Per questo portare un bambino, in braccio o con uno strumento che ne rispetti la fisiologia, significa soddisfare un bisogno primordiale, insito profondamente nella sua memoria cellulare.

Dal punto di vista neurofisiologico ci sono studi ben accreditati che, valutando i dati riguardanti le varie specie di mammiferi in generale ed in particolare quelli riguardanti le grandi scimmie, dimostrano che ogni neonato umano nasce fisiologicamente immaturo. La prole umana si trova, alla nascita, in uno stato di maggiore immaturità rispetto ad ogni altro mammifero (di fatto non riesce a seguire il suo “branco”) e continua a dipendere totalmente dalle cure dei genitori per un lungo periodo.

E’ stato, infatti, ipotizzato che l’immaturità neurologica e fisica del neonato indichi che il periodo di gestazione non è stato completato, in quanto sarebbe impossibile passare attraverso il canale uterino dopo ulteriori 9 mesi di vita all'interno del pancione. Dunque l'unica soluzione dataci da madre natura è che la gestazione si completi al di fuori del grembo materno, sotto forma di gestazione extrauterina. Ed ecco qui che si parla di endo ed esogestazione.

Un metodo d’allevamento come il “portare i bambini”, rende quindi il passaggio e l’adattamento alla vita extrauterina meno brusco possibile. Il bambino portato sperimenta la stessa varietà di sensazioni e stimolazioni che esperiva nell’ultimo periodo di vita intrauterina (sente gli odori, percepisce il movimento e il ritmo, sente i confini il sostegno e il contenimento, viene massaggiato, sente il calore, sente il battito del cuore, sente le voci intorno a lui, etc.).

Essere addosso alla mamma permette inoltre al bimbo di incrementare il bonding con lei e superare le fatiche e il trauma del parto.

Un altro beneficio che il bimbo trae è la regressione del pianto poiché essendo a contatto con il corpo della mamma porta quest'ultima a soddisfare i bisogni del bimbo nell'immediato, non facendolo arrivare al pianto disperato che qualcuno addita come causa delle colichette serali. A questo proposito, il massaggio continuo e il calore che la pancia del portatore esercita sulla pancina del neonato fa sì che quest'ultimo possa trarre beneficio dal contatto nel momento di disagio che le colichette portano.

Un ultimo ma non trascurabile beneficio che il neonato ottiene è che, essendo all'altezza del cuore del portatore, vive in toto quello che il portatore fa. Vede le persone, respira gli odori, partecipa alle conversazioni, avverte le sensazioni; il mondo non lo sovrasta, ma il bimbo si trova al centro del mondo vissuto dal portatore e questo permette di sviluppare equilibrio, aumentare i neuroni specchio, e di conseguenza allena il senso di imitazione innato nei piccoli.